di Roberto Alessandrini
In occasione della Festa della Mamma, abbiamo intervistato Maria Cristina Rossi, mamma da diversi anni molto attiva all’interno del Borgo Ragazzi don Bosco e che oggi, insieme al marito Giancarlo, fa parte del Laboratorio Famiglie e ricopre il ruolo di Supervisore del Movimento Famiglie Affidatarie e Solidali. Grazie a questo incontro e alla sua massima disponibilità, abbiamo avuto l’opportunità di raccontare e svelare la sua esperienza materna.
Qual è o quale dovrebbe essere secondo Lei, il sentimento che fa nascere il desiderio di diventare mamma?
‹‹Nel mio caso è stato l’amore inteso come dono, dal quale è nato il desiderio di offrire tutto ciò che di buono ho ricevuto, vissuto, sperimentato, lungo il percorso della vita. Un desiderio che mi ha portata a voler donare ad un figlio, il primo meraviglioso respiro dell’esistenza, ma anche quello di farlo crescere, circondato dall’insostituibile calore, dedizione e presenza di un nucleo familiare››.
Quali sono state le paure e i timori che ha provato prima di divenire mamma?
‹‹All’inizio non provavo paure e timori, perché il mio cuore era pervaso da quel sentimento d’amore che ho raccontato all’inizio dell’intervista. Quando la mia prima gravidanza ha cominciato a darmi qualche problema, ho iniziato a perdere fiducia nel mio fisico e a pormi delle domande, sulla mia reale capacità di diventare mamma, anche al livello morale. In fondo, credo che essere madre, sia un percorso di crescita e di felicità››.
C’è stata qualche difficoltà che ha dovuto affrontare in seguito alla nascita del primo figlio? Se sì, quale? Come è stata invece la seconda esperienza?
‹‹Dopo il primo parto, il mio stato fisico non era ottimale. Questo mi ha portato ansie e tensioni, provocate anche da piccole cose, delle quale mi attribuivo sempre la colpa. I primi quattro – cinque mesi, non sono stati per niente facili. In seguito però, ho iniziato ad assaporare la vera gioia di essere mamma, con tutte le sue responsabilità. Quella gioia che avevo spesso desiderato e che si era realizzata. La seconda esperienza è stata decisamente più serena, forse perché avevo anche acquisito una maggiore maturità. Ho potuto anche sperimentare la felicità di vedere l’affetto che Renato, il mio primo figlio, provava per Stefano, il secondogenito››.
Ci può raccontare l’ esperienza della sua famiglia, quando avete deciso di avviare il progetto di una Casa Famiglia?
‹‹Tutto è nato dal fatto che il nostro nucleo familiare, in piena umiltà, è sempre stato molto aperto e desideroso di voler trasmettere anche a bambini e ragazzi più disagiati, il calore e l’amore che solo una famiglia felice può donare. Non volevamo tenere tutta per noi la gioia che si respirava nella nostra casa. Un giorno, abbiamo confidato questo desiderio ad alcuni sacerdoti, i quali ci hanno comunicato la loro intensione di voler aprire una Casa Famiglia vicino Roma. Così, a seguito di questa loro volontà, ci siamo trasferiti nella Diocesi di Albano, dove era presente una struttura delle suore disabitata, all’interno della quale c’era la necessità di voler far nascere questa nuova realtà. Così, dal 1995 al 2001, abbiamo vissuto lì, aprendoci all’accoglienza di bambini della stessa età dei nostri figli, presumibilmente dai cinque ai sette anni ed in seguito anche più grandi. Parliamo di giovani che vivevamo per strada, perché in un periodo in cui le strutture per l’infanzia e l’adolescenza venivano chiuse, forte era l’esigenza di aiutarli. In seguito, il Borgo Ragazzi don Bosco, prendendo spunto dalla nostra esperienza, ha voluto aprire al suo interno, una Casa Famiglia per minori, nella quale poi ci siamo trovati a collaborare››.
Secondo Lei, essere madre, vuol dire anche contribuire all’educazione di bambini, ragazzi, che non sono per forza figli propri?
‹‹Sì, secondo me sì. Questa è una cosa che sento anche come insegnante, nello svolgimento della mia professione. Non posso dire che si provi lo stesso sentimento sperimentato verso i propri figli, però l’istinto di accompagnare i ragazzi nel loro cammino è lo stesso che ho nei confronti di Renato e Stefano››.
Ci sono valori salesiani che l’hanno accompagnata, insieme a suo marito Giancarlo, nell’educazione dei figli?
‹‹Essendo cresciuta, insieme a Giancarlo, in ambiente salesiano, abbiamo acquisito tutti i valori salesiani. Valori che poi ci hanno aiutato nell’educazione e che in seguito abbiamo trasmesso ai nostri figli. Il sistema preventivo di don Bosco è quello che è stato messo più in pratica, cercando di avere sempre una certa attenzione verso i figli e di trovare e alimentare il lato migliore di Renato e Stefano, al fine di educare quello meno buono››.
Secondo lei c’è qualcosa di cui i giovani d’oggi hanno particolarmente bisogno, rispetto a quelli del passato?
‹‹Credo abbiano perso il limite delle cose, le regole. Nel tempo che stanno vivendo, sperimentano e provano tutto e subito, senza nessun tipo di limete; senza più avere coscienza del confine che c’è tra il bene e il male››.
Dovremmo fare qualcosa in più per aiutarli? Ad esempio, cosa?
‹‹Dare a loro una educazione, un accompagnamento, un esempio volto a far loro acquisire il senso e l’importanza della regola, che permetta di assaporare il vero senso di libertà che stanno perdendo. Tutto questo è responsabilità di quell’educatore che il giovane incontra in famiglia, a scuola, in palestra, in chiesa e in tutti i luoghi che frequenta. Educatore che deve avere quella capacità di mantenersi puro, lucido ed concentrato sul suo ruolo››.
Quali ricordi e sensazioni ha risvegliato in Lei la nascita della prima nipotina?
‹‹Ha risvegliato in me, pur non essendo in prima linea rispetto a diversi anni fa, quel desiderio di donare la vita senza alcun limite, nonostante tutti i timori che la società odierna ci trasmette. È un sentimento che oggi vivo con maggiore serenità e che mi porta a respirare una doppia felicità: quella di essere diventata nonna e quindi di poter accompagnare questa nuova vita al raggiungimento della felicità e quella che provo quando guardo la gioia di mio figlio e di mia nuora, nella realizzazione del loro sogno››.