Nato per accogliere gli sciuscià, è stato un esempio della rinascita del Paese dopo la guerra, ma ha saputo adattarsi ai tempi e ai bisogni che cambiavano

 

di Angela Garreffa

Quest’anno ricorre il 65° anniversario del Borgo Ragazzi Don Bosco (1948/2013). Nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Roma viveva una situazione di notevole povertà e degrado sociale; «ci vorrebbe un nuovo don Bosco», si mormorava nei salotti cittadini. In giro per la città si incontravano migliaia di ragazzi abbandonati, orfani dei genitori, che vivevano alla giornata in condizioni materiali e morali terribili. Erano i cosiddetti “sciuscià” (termine derivato dall’inglese shoe-shine cioè lustrascarpe). Pio XII chiese espressamente: «desideriamo che essi (i salesiani) si prendano cura di questi ragazzi abbandonati o traviati e facciano quanto don Bosco ispirerà loro».

Inizialmente i ragazzi di strada furono accolti in via Marsala e poi in uno scantinato in via Varese, vicino alla Stazione Termini di Roma. Ma ben presto lo spazio divenne insufficiente: bisognava trovare nuovi luoghi dove poter ospitare i ragazzi. Un giorno alcuni giovani Salesiani, che si erano spinti in alcune borgate di periferia, notarono una distesa di capannoni sulla via Prenestina, a due passi del Quarticciolo. Erano vecchi capannoni militari ormai inutilizzati. I salesiano li ottennero in concessione dallo Stato. Così, iniziarono i lavori il 20 marzo 1947. Un anno dopo l’opera era terminata e venne inaugurata il 18 luglio 1948.

Si radunarono ben presto, in questo luogo, circa mille ragazzi e i salesiani cominciarono un lavoro paziente e faticoso: 150 ragazzi interni, 200 semiconvittori e 500 esterni bisognosi di tutto.

La giornata iniziava con la S. Messa: dopo aver giocato un po’ a pallone, qualcuno anche a piedi scalzi, i ragazzi si radunavano in chiesa per ricevere la benedizione. La mattina proseguiva con lo studio e i laboratori nelle officine fino alla ricreazione, dove il pallone regnava sovrano. Per il pranzo, approdavano al Borgo anche i ragazzi esterni che frequentavano le scuole del quartiere. La prima parte del pomeriggio era tutta dedicata ai giochi all’aperto, in cortile, sotto l’occhio attento e vigile dei superiori (don Bosco ci teneva molto che i salesiani fossero sempre in mezzo ai ragazzi; diceva spesso: “Un ragazzo che non gioca in cortile è certamente ammalato, o di corpo o di anima, in tutti e due i casi, allora c’è bisogno del medico”). Tra le attività ricreative privilegiate c’erano il teatro, il canto e la musica. Poi si tornava agli studi, alla cena tutti insieme, e la sera era dedicata alla preghiera e alla buonanotte, poche parole che il direttore rivolgeva ai ragazzi: un commento della giornata, un annuncio particolare, il racconto di un episodio della vita di don Bosco.

Il Borgo era diventato un esempio della ricostruzione in Italia, tanto che diversi capi di Stato vi fecero visita per vedere come il nostro paese stava risorgendo dalla guerra.

Sono passati ben 65 anni da quel lontano 20 marzo: tanti gli eventi che hanno caratterizzato questo pezzo di storia del Borgo: la chiusura delle scuole elementari e medie, il mantenimento dei laboratori lavorativi che sono diventati “Centro di Formazione Professionale”, la chiusura dell’internato (o collegio), l’ingresso concesso alle ragazze (ma solo negli anni ’70!) e tanti i giovani di periferia passati per questi cortili che hanno giocato nel cortile e nella polisportiva. Alcuni di loro sono rimasti legati a questo luogo che ancora frequentano.

Oggi il Borgo è ancora casa che accoglie, cortile che educa e chiesa che evangelizza. In questi ultimi anni il Borgo Ragazzi Don Bosco ha voluto recuperare la sua missione originaria, ovvero stare accanto ai ragazzi più poveri; per questo, accanto all’Oratorio e al Centro di Formazione Professionale, si sono affiancati un Centro di Accoglienza per Minori (italiani e stranieri), una Casa Famiglia per minori con disagio familiare e sociale, un Movimento di Famiglie affidatarie e solidali che promuove l’affido e sostiene le famiglie in difficoltà.