In tutto il mondo, il 20 giugno, si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, appuntamento annuale voluto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per commemorare l’approvazione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati (1951 – Convention Relating to the Status of Refugees). Celebrata per la prima volta il 20 giugno 2001, ha come obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle condizioni di milioni di rifugiati e richiedenti asilo che, costretti a fuggire dal proprio paese a causa di guerre e violenze, lasciano la propria famiglia per auspicare un futuro migliore. Dietro ognuno di essi c’è una storia da ascoltare, fatta di sofferenze ma anche di speranza di ricostruire il proprio futuro.

Tra questi, tanti minori non accompagnati come M. che è arrivato nella Casa Famiglia del Borgo Ragazzi don Bosco più di tre anni fa. M. viene dal Mali; quanto è stata accolto in Casa Famiglia,  non parlava una parola di italiano e aveva paura di tutto. Quando vedeva sul piatto qualcosa che non conosceva, si alzava e usciva di casa. Ha iniziato un corso di italiano presso il Centro Diurno del Borgo, ma dopo aver tracciato a fatica qualche lettera (non era mai andato a scuola) prendeva il foglio e lo faceva a pezzettini e di nuovo usciva rifiutandosi di proseguire. Quando poteva, stava sempre attaccato al cellulare: un po’ per comunicare con i suoi, un po’ perché aveva scoperto i giochi e le applicazioni.

Lentamente ha cominciato a fidarsi degli educatori, a giocare a pallone, ad uscire con gli altri ragazzi, anche italiani, ed in particolare con un ragazzo rwandese, anche lui in Casa Famiglia, sordo a causa di una meningite. Un po’ a gesti, un po’ non si sa ancora come, hanno cominciato a capirsi e ad uscire insieme. M. voleva sempre andare al cinema a vedere film di azione.

Nel momento in cui l’italiano è diventato più comprensibile, M. ha cominciato ad instaurare numerose amicizie con i volontari e le volontarie della Casa Famiglia; ha stretto relazioni anche con due famiglie del Movimento di Famiglie Affidatarie e Solidali del Borgo, famiglie che, formate all’accoglienza e all’affido, lo hanno coinvolto nelle proprie attività familiari. Prima per vedere le partite insieme, poi per la cena o per le feste. Poi solo per la voglia di vedersi e stare insieme, soprattutto con i loro figli. I piccolini lo stimolavano e lo facevano sorridere.

Faticosamente ha preso la licenza media. Abbiamo provato a fargli fare esperienze di lavoro con grande fatica. Non voleva. Il suo obiettivo, o almeno quello a lui affidato dalla famiglia di origine, era di andare, una volta maggiorenne, in Spagna, da un cugino perché lì – dicevano – si guadagnava di più; secondo i suoi genitori, M. avrebbe dovuto costruire al più presto una casa per lui e per la sua famiglia, nel villaggio che aveva lasciato in Mali; in caso contrario, sarebbe stato considerato per sempre un fallito. Almeno questo è quello che lui si sentiva dentro.

Compiuti 18 anni (età in cui i ragazzi accolti della Casa Famiglia devono, per legge, abbandonare la struttura), gli educatori della Casa Famiglia lo hanno indirizzato ed accompagnato verso una struttura per adulti che ha accettato di accoglierlo proprio per proseguire il progetto avviato. Si è subito fatto ben volere dai nuovi operatori e dai nuovi ospiti con il suo – ormai emerso –  carattere spigliato e simpatico. Solo che ha continuato a dire di voler andare in Spagna. Le sue famiglie di riferimento si sono consultate tra loro, lo hanno messo in guardia rispetto ai pericoli e alle opportunità che si stava lasciando dietro le spalle: documenti, residenza, carta di identità, lavoro, accoglienza. Ma poi hanno accettato la sua decisione e lo hanno aiutato a partire dandogli dei soldi  per il viaggio e la prima accoglienza.

In Spagna, come era prevedibile, non ha trovato nulla di quanto sperava. Gli hanno sottratto soldi e documenti e lo hanno mandato a lavorare a giornata. Ha cominciato a mandare messaggi disperati. A questo punto sarebbe stato facile dire semplicemente “te l’avevamo detto”. Appena possibile, con l’aiuto della casa famiglia che lo avevo ospitato da adolescente,  è stato acquistato un biglietto aereo per farlo tornare; giunto a Roma ha passato alcune notti sugli autobus. Infatti, nella struttura per adulti, che lo aveva accolto a 18 anni, poteva tornare solo se in possesso di un lavoro che lui, però, aveva lasciato partendo. Veniva nella nostra casa famiglia (dove ormai un altro ragazzo aveva preso il suo  posto) per lavarsi, mangiare e cercare lavoro. Ma ha capito.

Dopo qualche giorno e il nostro solito passaparola, un’altra famiglia si è attivata e gli ha offerto qualche giornata di lavoro in cantiere. Qui ha dato il massimo e ora non solo è stato riaccolto ma ha avuto già due volte un  aumento dello stipendio; continua a passare il  suo tempo libero al Borgo; le famiglie di riferimento lo aiutano un  po’ per tutto: per accompagnarlo dal dottore, per far sì che presti attenzione al  suo aspetto, si ricordi  gli impegni, insomma come si fa con i figli. Ha cominciato a mandare soldi a casa per costruire l’abitazione.  Ora gli altri ragazzi guardano a lui come qualcuno da imitare; lui, il sabato, continua a darsi appuntamento con il ragazzo sordo per andare insieme al cinema e comincia a prendersi a sua volta cura dei più piccoli.