Sessantacinque anni fa i salesiani iniziano la loro opera, al Borgo
don Bosco, con gli sciuscià; oggi offrono la possibilità di riscattarsi
ai giovani dei quartieri che si snodano sulla Prenestina
a cura di Lucia Aversano
Centocelle, Tor Bella Monaca, Torre Angela, Torre Maura, Prenestino, vengono da qui i ragazzi che frequentano il Borgo don Bosco. C’è chi va a giocare al centro giovanile, chi alla scuola professionale per meccanico, chi si trova al centro diurno per ordine del tribunale. C’è una casa famiglia che ospita 8 giovani, ci sono gli incontri delle famiglie affidatarie e non, e i corsi di barman, giardinaggio, estetista e cuoco. Quest’anno il Borgo compie 65 anni e coglie l’occasione per mandare un messaggio importante a tutti: i “nostri giovani il vostro futuro”.
La casa famiglia
Dal ‘45 a oggi molte cose sono cambiate, e se prima il Borgo che affaccia sulla via Prenestina si trovava in aperta campagna, oggi, come del resto in tutta Roma, la campagna è diventata città e il Borgo spicca in mezzo a numerosi e popolosi quartieri. «A metà degli anni 90 ci siamo interrogati su come rispondere in maniera efficace ai bisogni mutati del territorio», spiega Alessandro Iannini, psicologo e coordinatore dell’area disagio del Borgo don Bosco, «e come rispondere ai bisogni dei ragazzi in difficoltà. Abbiamo fatto una
ricerca con l’assessorato alle Politiche sociali del Comune
di Roma nel 2000, pubblicata col titolo “Un minore
A-lato”, intervistando circa 10mila ragazzi: è emerso
il quadro di un quartiere dove mancano punti di riferimento
affettivo-relazionali validi per i ragazzi; in molti,
soprattutto quelli della fascia del disagio, manca la figura
paterna. Situazione aggravata dal fatto che mancano
sbocchi lavorativi, quindi ci siamo messi in dialogo con i
servizi sociali per capire come rispondere a questi
bisogni. Ne è nata l’idea di fare una casa famiglia e, contemporaneamente,
abbiamo aperto lo sportello “Sosascoltogiovani”.
Attraverso lo
sportello abbiamo raccolto il disagio di genitori con adolescenti
rispetto ai quali si trovavano in difficoltà». I
genitori chiedono aiuto per le cose più disparate: abuso
di sostanze stupefacenti, dispersione scolastica, giovani
in affido difficilmente gestibili. Attraverso Sosascoltogiovani
si fa informazione e sensibilizzazione e, in un
certo qual modo, si cerca di
prevenire il disagio.
La pedagogia del sarto
Agli inizi degli anni 90 esce il nuovo Codice di procedura minorile, che dispone la possibilità di proporre misure alternative al carcere anche nei centri diurni. Nel ‘92 i salesiani aprono un centro diurno per minori. Tra le novità del nuovo codice c’è l’articolo 28, che prevede la sospensione del processo con la possibilità da parte del giudice di disporre, durante l’udienza preliminare, l’affidamento ai servizi sociali. Questi ultimi preparano un progetto educativo che prevede attività socialmente utili. «Normalmente», continua Iannini, «i ragazzi vengono da noi con questi progetti e noi li aiutiamo a prendere la licenza media o a imparare un mestiere, a svolgere attività secondo quelli che sono i propri interessi. Prendi un ragazzo che magari è stato arrestato per furto di motorini, a scuola ne ha combinate di tutti i colori e magari era stato già espulso. Tu cerchi di dimostrare che non è vero – vista la serie di fallimenti – che è come pensa lui, che non è capace di far niente. Che, in realtà ha molte competenze, che già solo saper rubare un motorino, smontarlo, e vendere i pezzi o rimontarlo su un telaio non rubato è una capacità: è così che è nato il corso di aiuto meccanico». I progetti sono fatti a misura di ragazzo: «al colloquio preliminare siamo chiari: qui si viene due ore al giorno, non ci sono libri, non ci sono quaderni e non si portano i compiti a casa (e già lì vedi il ragazzo che si tira un po’ su dalla sedia). Devi portare una cosa che a scuola non portavi mai: la testa». Il rapporto è uno a uno, si fanno piccoli passi ogni giorno e il giorno dopo si riparte, per questi ragazzi il giorno dopo è anche la settimana dopo perché sono incostanti». Si inizia a lavorare sulle competenze di base: prima la presenza, poi la puntualità poi il rispetto dell’impegno fino alla responsabilità e lentamente prendono la licenza media o imparano un mestiere. «Ci capitano ragazzi che dicono “sì, domani vengo” e poi magari spariscono perché con la testa vorrebbero, ma poi non ce la fanno: molti di loro invertono il giorno con la notte, quindi ti capita che dopo una settimana che gli telefoni te li trovi qui, finalmente puntuali, alle nove, ma solo perché la sera prima non sono andati a dormire e hanno fatto tutta una tirata per non mancare all’appuntamento ». Il progetto è fatto su misura così come l’abito che cuce il sarto, questa per loro è l’ultima spiaggia e i ragazzi trovano la porta sempre aperta; anche se non si fanno vedere per settimane, quando tornano riprendono da dove hanno lasciato. «Con i ragazzi del centro diurno dobbiamo continuamente lavorare tra la nostra proposta e quella che gli fa la strada: se ti propongo di lavorare da un meccanico per 400 euro al mese di borsa lavoro, quando spacciando ne guadagni 1000 al giorno, è chiaro che il ragazzo la tentazione ce l’ha sempre: Con i ragazzi della casa famiglia, invece, la prova del nove avviene quando il ragazzo rientra nel suo ambiente: è qui che si vede se è in grado di andare per la propria strada e quando, invece, affiorano nuovamente delle fragilità».
A 18 anni non si è adulti
I problemi più grandi però non sono quelli educativi, ma il rapporto con l’esterno. Innanzitutto la crisi economica, a causa della quale sempre meno datori di lavoro sono disposti a prendere con loro ragazzi con un percorso particolare alle spalle. Poi ci sono i tempi della giustizia, che non coincidono quasi mai con i tempi educativi: «a volte segnaliamo un caso agli assistenti sociali, ma dalla segnalazione al provvedimento del tribunale passa troppo tempo, altre volte il mandato d’arresto arriva tre anni dopo il reato e qui, magari, salta tutto un percorso e poi c’è la maggiore età». A 18 anni per la legge si è maggiorenni e quindi si è, in teoria, totalmente autonomi, «quale ragazzo in questa società di oggi lo è? Ragazzi già svantaggiati dall’inizio prima si
collocano in casa famiglia e poi, a 18 anni gli devi dire “ok adesso sei maggiorenne, vai per la tua strada perché le istituzioni non pagano più la retta”. Nelle fasi di crisi capita sempre così: il disagio aumenta e per noi e tutti quelli che lavorano nel sociale aumentano le richieste, ma diminuiscono le risorse. Non ci si rende conto che il ragazzo che delinque ti costa molto di più di quello che costiamo noi facendo prevenzione, il centro di giustizia minorile ci dà la stessa retta che ci dava nel ‘92 all’epoca 50mila lire, oggi 25.82 euro».
65 anni con i giovani
Borgo don Bosco è un punto di riferimento per numerosi ragazzi del territorio, non solo per quelli più difficili. L’oratorio centro giovanile «è una bella realtà multietnica», racconta don Stefano Aspettati, direttore del Borgo. «Ci sono ragazzi di religione e etnie diverse, che stanno insieme in maniera tranquilla e pacifica e questa è una prima vittoria». Musica, sport e teatro rientrano nelle numerose attività promosse dal centro. I festeggiamenti per il sessantacinquesimo compleanno del borgo sono anche l’occasione per dire «noi ci siamo da 65 anni e ci siamo perché abbiamo cercato continuamente delle risposte per i giovani, ci siamo perché vogliamo continuare su questa strada e, non da ultimo, cerchiamo anche un sostegno da parte delle istituzioni e delle persone di buona volontà ». L’insegnamento di don Bosco è chiaro: «in tutti i ragazzi c’è un punto accessibile
al bene e compito di chi educa è trovare questo punto affinché attivi le sue risorse e le sue potenzialità».
Questo è da sempre il lavoro che il Borgo fa con tutti i ragazzi che passano e sono passati da quelle parti, l’auspicio è poter continuare su questa strada senza lasciare dietro nessuno.
Dalla rubrica Il dire e il fare di Reti Solidali anno XI numero 6‚ novembre 2013.
http://www.volontariato.lazio.it/documentazione/documenti/66896689RetiSolidali_6_2013_BorgoDonBoscoSempreSperanza.pdf