Fondazione Laureus Italia Onlus fa parte di un network di 8 Fondazioni nazionali facenti capo alla Laureus Sport for Good Foundation nata a Londra nel 2000 su iniziativa di DaimlerChrysler e Richemont.

L’idea è quella di dedicarsi attivamente su scala mondiale a favore di bambini e giovani che vivono in condizioni svantaggiate, usando lo sport come strumento per il cambiamento sociale.

La fondazione Laureus Italia nasce nel 2005 per sostenere bambini e ragazzi che provengono da diverse realtà di disagio sociale attraverso l’inserimento dei minori in società sportive che propongono sport di squadra, come il calcio, basket, pallavolo, ecc.

Ogni progetto offre ai ragazzi, di età compresa dai 6 ai 18 anni, una rete di sostegno ben definita, con il coinvolgimento di diverse figure professionali:

  • allenatori che presenziano tutte le attività sportive dei ragazzi
  • educatori professionali che seguono lo sviluppo e le attitudini dei giovani
  • psicologi dello sport che organizzano momenti di confronto singoli e di gruppo con gli allenatori per affrontare i disagi emersi e progettare percorsi di sostegno che accrescano la fiducia in sé stessi e volti ad affrontare e risolvere in modo adeguato le diverse situazioni.

La Fondazione supporta economicamente il prezioso lavoro educativo della società sportiva coinvolta nel progetto, offrendo l’accesso gratuito alle attività sportive per i ragazzi inseriti e affiancando agli allenatori un sostegno psico-educativo che cura gli aspetti relazionali delle squadre e si occupa dell’accoglienza e dell’integrazione dei ragazzi che sono a rischio di esclusione o mostrano segni di disagio.

Il Borgo Ragazzi Don Bosco ha iniziato la collaborazione con la fondazione Laureus nel corso del 2012, con la volontà di sviluppare un progetto educativo- sportivo per i ragazzi di età compresa dai 6 ai 18 anni presenti nel territorio, connotato per le problematiche sociali che spesso si intrecciano con difficoltà di carattere economico e di integrazione.

I ragazzi iscritti al progetto Laureus di Roma del Borgo Ragazzi Don Bosco sono 45, inseriti e divisi nelle varie squadre di calcio, basket, volley, judo e laboratori di calcetto.

Il progetto che è al suo secondo anno di vita, ha visto tutti, ragazzi, figure educative, allenatori e famiglie, entusiasti ed attivi per la costruzione di un ambiente sportivo di ascolto, sostegno, fiducia e corresponsabilità. In modo particolare i ragazzi hanno dimostrato, con risultati graduali, maggiore costanza nell’impegno sportivo, particolare attenzione nel rispetto delle regole, senso di appartenenza ad un gruppo e una crescente attenzione a quei valori dello sport formativi per la loro vita.

Questo ha riposto in tutti noi grande fiducia e forza per il cammino che ci attende, mossi dal desiderio di sostenere e aiutare tanti ragazzi nello loro piccole grandi sfide quotidiane, anche attraverso la promozione e la proposta di uno sport sano e aggregante.

Marika e Sara raccontano la loro esperienza all’interno del progetto…

marika masilliMarika, qual è stato il tuo ruolo in questo progetto?

Il mio ruolo di educatore si articola in diverse fasi. La prima fase riguarda la segnalazione dei minori e la presentazione dei casi da parte dell’ente inviante coinvolto nel progetto, nella realtà del Borgo Ragazzi Don Bosco è il “Centro Accoglienza Minori”, che si impegna a seguire l’andamento del progetto e a mettere in comune la storia di ogni ragazzo. Conoscere i vissuti della vita familiare del ragazzo, le relazioni che si sviluppano negli altri ambienti da lui frequentati (scuola, gruppo dei pari, ecc…) è essenziale per trovare le chiavi giuste per intervenire sul disagio del giovane, sia esso legato a difficoltà di rendimento scolastico, difficoltà nell’ambito familiare, difficoltà economiche, o più in generale, attribuibile a contesti multi-problematici.

Questa prima fase è seguita dalla fase di accoglienza e di inserimento dei minori nelle varie squadre della società sportiva coinvolta nel progetto, con la successiva osservazione e monitoraggio dell’andamento degli inserimenti e degli eventuali abbandoni nell’arco dell’intera stagione sportiva.

All’ente inviante viene quindi affiancata una società sportiva, che per il Borgo Ragazzi Don Bosco è la P.G.S., in grado di garantire qualità ed attenzione sociale, disposta ad accogliere i minori precedentemente segnalati e a promuovere ed investire in un’attività sportiva a forte valenza formativa.

Infine, non ultima per ordine di importanza, la fase di accompagnamento e sostegno dei minori, con lo scopo di aumentare il loro livello di benessere psicofisico e di adattamento sociale.

Cosa ti porti nel cuore, con questa esperienza?

Ho difficoltà a raccontare una sola storia o un singolo momento che mi ha colpito, perché nella mia valigia dei ricordi le storie da raccontare, anche quelle più semplici apparentemente, hanno un momento particolare, speciale, che ha caratterizzato i tanti mesi trascorsi insieme ai ragazzi.

Nel cuore porto il volto e la storia di ognuno di loro, incontrati nel campo di calcio, nelle palestre di judo, volley e basket, li ho vissuti in oratorio o in altre attività extra sportive messe al servizio dei giovani e organizzate per aiutarli a crescere integralmente. Incontri che hanno permesso la costruzione di una relazione empatica tra me e i ragazzi, alimentata dall’accoglienza costante e dalla pazienza di rispettare i loro tempi e le loro modalità relazionali, un incontro non sempre fatto di parole, di confronto, di confidenza, ascolto attivo e dialogo, ma anche di sguardi, di attenzione, di semplice e silenziosa presenza.

In ogni incontro piccole grandi esplosioni di emozioni nel cuore e negli occhi dei ragazzi … per la gioia di un goal o per un esercizio difficile riuscito durante gli allenamenti, per il traguardo sportivo raggiunto dalla squadra a fine campionato o alla fine di una partita sudata fino all’ultimo minuto, per un gesto semplice di solidarietà scambiato con un compagno della squadra che ha sbagliato un rigore, un passaggio o un canestro, per la delusione di un gesto inaspettato e scorretto da parte di un amico e compagno di squadra, per i gesti e le parole di commovente amicizia spesi per un compagno in difficoltà, per le fatiche quotidiane, per i problemi scolastici, per gli amori non corrisposti o per quelli che fanno battere il cuore, per i comportamenti impulsivi, dettati dalla rabbia e dall’ inadeguatezza, per la voglia di dimostrare di essere qualcuno e di sentirsi qualcuno, per quelli occhi malinconici, ma pieni di vita, che spesso racchiudono tante sofferenze e ferite, per la voglia di libertà e la sempre accesa speranza che i sogni che portano nel loro cuore un giorno si realizzeranno …

Ogni momento, anche quello più difficile, è stato un dono, uno scambio, un’occasione per trovare sempre nuove strade per fronteggiare al meglio le situazioni che si presentavano lungo il cammino.

Ognuno di loro ha lasciato la sua preziosa impronta nel mio cuore!

Penso che queste due frasi possano racchiudere la fonte ispiratrice, l’essenza di questo progetto e del percorso educativo svolto, animato dall’umiltà di chi si è messo in gioco e dalla grandezza e meraviglia che solo un’ educazione “di cuore” può portare:

“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di ricongiungere le persone come poche altre cose. Ha il potere di risvegliare la speranza là dove prima c’era solo disperazione.” – Nelson Mandela

“L’educazione è cosa del cuore” – San Giovanni Bosco

sara acamporaSara, psicologa, racconta, invece, il suo lavoro “in punta di piedi” nel progetto Laureus.

Qual è il ruolo dello psicologo nel progetto Laureus?

L’obiettivo del progetto Laureus è quello di integrare i ragazzi con disagio sociale attraverso lo sport. Quando si ha a che fare col disagio ci troviamo di fronte ad un problema complesso ed è per questo che è indispensabile un lavoro di rete, in cui vi sia collaborazione tra le varie figure che ruotano intorno ai ragazzi. Spesso gli allenatori si trovano nella difficoltà di inserire in una squadra ragazzi con disagio, cosi come è difficile inserirli nella società! E dato che nel campo l’educatore, nonché figura più importante, è l’allenatore, si è pensato di affiancare a questa figura quella dello psicologo, proprio con lo scopo di trovare insieme strategie per facilitare l’integrazione e il lavoro di squadra.

Come si inserisce lo psicologo nell’allenamento?

Ovviamente il campo di calcio o la palestra di basket sono il regno dell’allenatore e lungi da me intervenire sul modo di allenare. Il mio lavoro è un lavoro che si inserisce “in punta di piedi” infatti il primo passo è quello di creare una relazione con l’allenatore, in modo che nasca una fiducia per poi poter lavorare bene in futuro. Non entro quindi nel campo ma osservo dall’esterno quello che succede, è dopo l’allenamento che mi incontro con l’allenatore con il quale discutiamo di alcune dinamiche viste. È l’allenatore ad evidenziare problematiche di gruppo o con un singolo.

E a quel punto come si lavora?

Attraverso gli incontri con l’allenatore, che noi chiamiamo “microequipe”, definiamo i punti su cui lavorare e soprattutto aiutiamo l’allenatore nel modificare piccoli comportamenti per raggiungere piccoli obiettivi.

Faccio un esempio: una squadra calcio di ragazzi di 12/13 anni, un gruppo affiatato che sembra avere una buona relazione con il mister. Allo stesso tempo si evidenzia un problema, cioè la difficoltà di mantenere la concentrazione: i ragazzi tendono a distrarsi. Abbiamo provato a cercare i motivi di questa distrazione: inizialmente l’allenatore si spiega questa difficoltà con l’età, in cui ancora prevale l’aspetto goliardico. Successivamente ho provato a chiedergli cosa facesse lui per evitare che si distraggano … Facendo domande su come è strutturato l’allenamento, se sia adeguato a loro, se succede qualcosa che può preavvisarlo di una distrazione … Quando faccio queste domande vedo l’allenatore stupito come se non avesse considerato questo punto di vista. Secondo me è questo il successo di questa metodologia, riuscire a capovolgere il punto di vista interrogando l’allenatore stesso sul suo comportamento. E così abbiamo pensato che forse si potrebbero alternare esercizi tecnici a dei giochi dinamici, quando un esercizio è particolarmente noioso, magari farlo durare poco o incentivare i ragazzi con un premio …

Quindi lo psicologo lavora esclusivamente sull’atteggiamento dell’allenatore nei confronti della squadra?

Esatto. Non avrei le competenze per mettere bocca sull’aspetto tecnico dell’allenamento, ma è importante che ogni allenatore sia in grado di cogliere i segnali inviati dai ragazzi e il sapersi modificare in base ad essi lo rende più forte nella relazione con loro, e quindi un migliore allenatore!

C’è un episodio che ti ha colpito?

C’è stato qualche settimana fa un caso di un ragazzo che dopo essere stato ripreso più volte in campo dall’allenatore perché non stava seguendo i suoi consigli “tecnici” si è innervosito andando via dal campo dicendo parolacce e soprattutto dicendo che non sarebbe più venuto. Il mister è rimasto un po’ scosso e si è sentito in colpa rispetto alle parole del ragazzo e nella microequipe è venuto da me per chiedere come si doveva comportare. Gli ho chiesto secondo lui cosa fosse successo al ragazzo che essendo molto insicuro non ha gradito l’essere ripreso spesso davanti a tutti. Abbiamo pensato insieme se c’è un  modo “diverso” di spiegargli le cose, e l’allenatore stesso ha proposto di richiamare il ragazzo e spiegargli il suo intervento, in maniera separata, così da poterlo accettare. La settimana dopo in realtà è ritornato, si è scusato e l’allenatore è riuscito a chiarirsi, stando sempre attento al modo in cui interagisce con lui.

La cosa bella di questo progetto è una visione diversa dello sport che ha come obiettivo non solo quello di vincere o divertirsi, ma quello di lavorare su aspetti diversi della persona in modo da poter integrare anche le personalità più difficili in un progetto di squadra.

Devo dire che gli allenatori almeno qui al borgo hanno accettato di buon grado questa visione dello sport.