La legge n.184/83 e successive, regola l’affidamento familiare; la proposta appena approvata introduce il principio per cui l’affidatario venga preso in considerazione preferenzialmente ai fini dell’adozione.

Dott.ssa Francesca Saverino

Assistente Sociale

Movimento Famiglie Affidatarie e Solidali

 

La Camera dei Deputati nella seduta del 14 ottobre ha definitivamente approvato la proposta di legge n. 2957 e successive, già approvata dal Senato della Repubblica il 12 marzo 2015, che va a modificare la legge 4 maggio 1983, n. 184, e successiva legge n. 149 del 28 marzo 2001, con riferimento all’istituto dell’affidamento familiare.

La proposta di legge introduce il principio secondo cui, qualora un minore affidato sia dichiarato adottabile, la famiglia o la persona affidataria debba essere considerata preferenzialmente ai fini dell’adozione. Al tempo stesso, la norma specifica che l’affidamento diviene potenziale premessa per l’adozione solo quando vi è un solido legame affettivo tra la famiglia o la persona affidataria e il minore. L’affidamento familiare è stato creato per dare al minore un ambiente per quanto possibile sereno durante una “situazione di difficoltà temporanea della famiglia d’origine”. In ragione di questa sua specifica finalità, l’affidamento familiare è nettamente distinto, sul piano legislativo, dall’adozione.

Nel caso dell’affidamento, la famiglia o la persona che si rende disponibile ad accogliere il minore deve essere ben consapevole di offrirgli una casa ed un ambiente affettivo temporanei, in quanto la responsabilità genitoriale resta alla famiglia d’origine e l’obiettivo a cui si deve puntare è quello di reintegrare il minore nella sua famiglia.

Nel caso dell’adozione, al contrario, la famiglia che accoglie il minore deve essere consapevole di assumere in tutto e per tutto la responsabilità genitoriale in quanto il minore entra a far parte della propria famiglia decadendo la potestà genitoriale della famiglia d’origine.

La confusione tra i due istituti può, in effetti, generare notevoli danni ai minori e alle famiglie coinvolti. Laddove la famiglia affidataria interpretasse l’affidamento, fin dall’inizio, come una strada per giungere all’adozione, essa finirebbe per coltivare aspettative che rischiano di essere deluse con effetti laceranti per essa stessa oltre che, soprattutto, per il minore.

Da qui deriva una differenziazione dei requisiti, previsti dalla legge, per essere considerati idonei all’adozione oppure all’affidamento e un diverso apprezzamento da parte dei servizi sociali e dei tribunali per i minorenni delle caratteristiche delle famiglie che offrono la loro disponibilità per l’uno e per l’altro istituto.

Applicando la normativa precedente, ed oggetto della recentissima modifica, si è evidenziato che molto spesso l’affidamento perde, nel corso del suo svolgimento, il carattere di «soluzione temporanea» che la legge gli attribuisce. In un numero elevato di casi, infatti, la situazione critica che aveva giustificato l’allontanamento dalla famiglia originaria evolve negativamente e il minore è quindi dichiarato adottabile. In senso della nuova normativa è quello di fare in modo che il minore dichiarato adottabile possa essere adottato dalla famiglia che lo aveva in affidamento per evitare, come avvenuto, per fortuna solo in pochi casi, che un bambino o una bambina, già provati da una prima separazione, siano sottoposti ad una seconda dolorosa frattura e «trasferiti» a una terza famiglia.

Già nella precedente normativa esisteva, in effetti, la possibilità, talvolta utilizzata dai giudici minorili, di far prevalere il principio della continuità affettiva (art. 44 della legge n. 184 del 1983, con riferimento alla «adozione in casi speciali»); qualora il minore fosse rimasto orfano l’affidamento si sarebbe potuto trasformare in «adozione in casi speciali».

Alcuni tribunali per i minorenni qualora i genitori affidatari avessero avuto i requisiti per l’idoneità all’adozione, suggerivano loro di fare una richiesta «mirata» in modo da essere considerati a tale fine.

La nuova legge intende dunque introdurre maggiore chiarezza, attenuando le differenze applicative nei casi complessi e delicati.

Per farlo è stato necessario riconoscere che, al di là delle intenzioni del legislatore, dei servizi sociali, del tribunale per i minorenni e delle famiglie o delle persone affidatarie, quando il rapporto di affidamento si protrae ben oltre i due anni è assai probabile che si instauri un solido legame affettivo concepito, di fatto, come un legame familiare a tutti gli effetti tanto dalla famiglia o dalla persona affidataria quanto dal minore. In questi casi, e solo in questi, risulta con tutta evidenza preferibile, nel «superiore interesse del minore», tutelare la continuità dei legami affettivi anche a costo di alterare marginalmente le procedure di adozione.

L’associazione «La Gabbianella e altri animali», che è stata una delle promotrici di questa proposta di legge ha pubblicato un interessante testo: “Io non posso proteggerti. Quando l’affido finisce: testimonianze e proposte perché gli affetti possano continuare”, Franco Angeli, 2009.

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