In Campidoglio un incontro per ripercorrere i 65 anni di storia della realtà nata per accogliere, nel 1948, gli “sciuscià” che riempivano le strade della Capitale, dove oggi si forma alla vita e anche al lavoro.
di Christian Giorgio
Una casa che accoglie, una palestra di vita e un laboratorio di talenti. È questo il Borgo Ragazzi don Bosco per Renato Cursi, 25 anni, anima del gruppo adolescenti dell’oratorio. Al Borgo è arrivato negli anni Ottanta. Ciò che l’ha spinto ad avvicinarsi a questa realtà, di cui quest’anno ricorre il 65mo anniversario di fondazione, è stata l’attività sportiva. Renato giocava a basket nella Polisportiva don Bosco, poi è diventato allenatore, o meglio «alleducatore» come si definisce per sottolineare l’azione formativa che ha esercitato per anni con tanti ragazzi provenienti da storie di emarginazione e abbandono. Ed è nato proprio per questo il Borgo, nell’immediato dopoguerra: «Accogliere giovani senza speranza per dare loro un futuro». A spiegarlo è il direttore don Stefano Aspettati nel corso dell’incontro organizzato in Campidoglio, mercoledì 4 dicembre, per ripercorrere 65 anni di storia di quello che è diventato, per il vice sindaco Luigi Nieri «un punto di riferimento sul territorio, capace di formare nella cultura e nel lavoro tanti giovani che altrimenti sarebbero persi».
Nel 1948 il Borgo accoglieva gli “sciuscià” che riempivano le strade della Capitale. L’Italia cercava di riprendersi dopo gli anni della guerra, la povertà mandava per strada i bambini che non riuscivano ad essere mantenuti dalle proprie famiglie. In questa situazione, attingendo a piene mani alla tradizione salesiana, il Borgo ha iniziato ad accogliere i ragazzi di Roma e non solo. Ne sono passati oltre 70mila in questi 65 anni; tutti hanno trovato «una proposta educativa – aggiunge don Aspettati -, delle relazioni autentiche e prospettive per il loro futuro in grado di renderli buoni cristiani e onesti cittadini».
Shari ha 22 anni. È arrivata al Borgo in cerca di sostegno scolastico ma in realtà quello che cercava era qualcosa che l’aiutasse a dare una svolta alla propria vita: «Avevo cattive amicizie, ragazzi problematici che avevano problemi con la giustizia – racconta, emozionata -. Ero in una fase di stallo, a scuola andava male, mi sentivo ferma». Al Borgo, Shari è riuscita a ritrovare se stessa; dapprima, con scetticismo, approda a un gruppo formativo, poi si rende conto di trovare ciò che non aveva mai avuto, né in famiglia né tra i suoi amici: «Per la prima volta le persone mi ascoltavano facendomi sentire importante».
«Sono tre le grandi aree di intervento – continua il direttore – sulle quali basiamo i nostri interventi: l’oratorio, l’accoglienza familiare e la formazione professionale». Si impara a lavorare, al Borgo, in laboratori attrezzati in grado di offrire una crescita dei giovani che, dopo aver conseguito la licenza media, vogliano continuare il loro percorso nell’ambito della formazione professionale. È stato questo il percorso di Luca Tedesco. Nei laboratori del Borgo ha imparato un mestiere dopo tante esperienze scolastiche negative: «A scuola era un dramma per me, una brutta esperienza, non avevo voglia di studiare; il rapporto con i miei professori era disastroso». Oggi Luca è passato dall’altra parte della “barricata”, è diventato lui stesso professore; insegna la parte tecnica del corso di operatore e riparatore di veicoli a motore nella scuola professionale del Borgo.
Per l’assessore regionale alle Politiche sociali Rita Visini, presente all’incontro, «quella di Borgo è una di quelle realtà che ci fa comprendere come i fondi dati al sociale non siano tanto un costo per la società quanto un investimento»: sono esperienze in grado di «riumanizzare i contesti in cui viviamo, perché i giovani possono essere la risposta a quella domanda di senso di molti adulti che, in tanti casi, hanno perso ogni speranza nel futuro».
Testo tratto da: http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=11573