Conferenza sull’immigrazione e sull’accoglienza: quale fenomeno e quali risposte
Si è svolto sabato pomeriggio, a cura dei cooperatori salesiani, alle ore 17 presso la Sala Remigi del Borgo Ragazzi don Bosco un incontro – confronto sull’immigrazione: uno sguardo al fenomeno migratorio e alle nostre capacità di accoglienza.
«Le immigrazioni esistono da sempre» ci spiega Luca Kocci, docente di storia e di italiano presso l’ITC “G. Ambrosoli” di Roma, e da sempre sono tanti i motivi che hanno spinto le persone a migrare. Il secondo libro della Bibbia, il libro dell’Esodo racconta uno dei primi fenomeni migratori che ha coinvolto, a detta degli studiosi, circa 50.000 persone; le invasioni barbariche che hanno sancito il crollo dell’impero romano, la scoperta «o meglio la conquista» sottolinea il prof. Kocci, dell’America che ha portato i conquistadores prima e gli europei poi all’invasione, alla conquista ed in alcuni territori allo sterminio delle popolazioni indigene sia dell’America del Sud prima e del Nord poi (gli Stati Uniti nascono come un popolo di migranti); l’emigrazione, forzata, dei neri sono solo alcune delle grandi migrazioni europee. E durano fino a quando l’Europa non ha completamente colonizzato tutto il mondo; anche l’Italia si inserisce in questo movimento prima nel 1800 con le grandi migrazioni in America, e poi negli anni 50/60 con le migrazioni causate da ragioni economiche, inizialmente verso l’ Europa e poi dal sul al nord dell’Italia.
Fino a quando non si verifica, intorno agli anni ’80, un’inversione di tendenza: dopo aver colonizzato tutto il mondo, adesso è il mondo a ripopolare l’Europa (la prima legge sull’immigrazione in Italia è del 1986). Si tratta di popolazioni del Nord Africa, poi dell’Albania e dei Paesi dell’Est, poi ancora dal Medio Oriente (quelle di oggi) causate tutte dai conflitti interni: Syria, Balcani, Afghanistan, Iraq tutti paesi in stato di guerra oppure caratterizzati da instabilità politica; ma anche e ancora migranti economici o, addirittura come li ha definiti papa Francesco, “migranti climatici” ovvero coloro che lasciano il proprio paese a causa dei cambiamenti climatici che hanno portato desertificazioni o peggioramento del clima tanto da rendere difficile la sopravvivenza. Con la differenza che in Europa sono riconosciuti ed accolti solo i rifugiati politici, ovvero coloro che scappano dal proprio paese a causa della guerra; coloro che migrano a causa dei problemi economici non hanno alcun diritto. Fino al 2014 le rotte seguite dai migranti sono state due: quella dell’Egeo che ha portato i migranti dalla Grecia ai territori dell’est Europa e quella del Mediterraneo. Ormai la rotta dell’Egeo è chiusa soprattutto a causa della nascita dei vari muri di confine che hanno impedito il passaggio. Proprio in questi giorni l’Unione Europea ha stanziato 6 miliardi per la Turchia per non far passare i migranti verso la Grecia; tra l’altro chi è arrivato in Grecia dopo il 20 marzo avrà l’obbligo di rimpatriare. Possiamo capire come dopo queste vicende abbia ripreso vigore la rotta del Mediterraneo ed è una situazione non destinata a fermarsi.
Segue l’intervento di don Giovanni d’Andrea, attuale presidente della Federazione SCS – Salesiani per il Sociale ma anche sacerdote con esperienza pluriennale presso Santa Chiara di Palermo, destinata proprio all’accoglienza dei migranti. Subito pronto a far la distinzione tra fenomeno migratorio e problema immigrazione, dove nel fenomeno migratorio si osserva qualcosa che avviene e nel secondo si evidenzia qualcosa che non va. Anche don Giovanni sottolinea che il fenomeno migratorio è antico quanto l’uomo, Gesù di Nazareth era un migrante: quando nasce (non nasce a casa sua), quando va a lavorare per il Padre e quando muore (a Gerusalemme che non era a casa sua). E ci sollecita a non soffermarsi sui numeri che fanno effetto, ma sulla persona che migra o che muore in mare perché dietro al numero c’è un uomo, un volto, una storia. E sono diverse le provocazioni lanciate per suscitare le riflessioni: 4 richiami storici e sociali che non possiamo non prendere in considerazione.
Il primo a parlare di migranti è il Vangelo “Se farete solo ad uno di loro lo avete fatto a me” sottolineando la posizione del forestiero “ero forestiero e mi avete accolto” e di conseguenza, ospitato, dato da mangiare, preso cura … la Chiesa richiama più volte all’accoglienza dei migranti. In maniera particolare nel n° 210 dell’Evangelii Gaudium: “È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali”. Terzo riferimento migratorio è don Bosco che ha imparato l’accoglienza da mamma Margherita. «Don Bosco è stato un piccolo migrante» ci spiega don Giovanni d’Andrea, è stato migrante quando si è allontanato da casa dove non poteva stare a causa del fratello che lo maltrattava, quando ha cambiato città per studiare, quando si trasferisce a Torino per seguire i suoi ragazzi. «Oggi, quel ragazzo, l’avrebbero mandato in una casa famiglia: madre vedova, fratello che lo maltrattava, grave situazione economica». A Valdocco il primo ragazzo che accoglie in Oratorio è un migrante: un orfano proveniene dalla Val Sesia «Oggi sarebbe un “minore non accompagnato”» prosegue sorridendo don Giovanni. Infine le Costituzioni Salesiane che sottolineano il criterio oratoriano: casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita, cortile per incontrarsi in allegria. E la richiesta urgente proveniente dall’ultimo Capitolo Generale dei Salesiani dove, in merito all’immigrazione, dobbiamo trovare nuove forme di collaborazione che diano risposte adeguate e portino a formare mentalità più aperte e coraggiose.
Quindi, senza via di scampo, siamo chiamati dal Vangelo, dalla Chiesa, da don Bosco e dalla congregazione salesiana a prendere coscienza del fenomeno e a muoversi, a «scomodarsi» come dice don Giovanni per aiutare ed accogliere i nostri nuovi migranti. La prima cosa da fare è quella di fare e farsi una cultura del fenomeno migratorio: è necessario conoscere qualcosa che non si conosce; solo in questo modo possiamo abbattere pregiudizi e preconcetti. Don Giovanni fa l’esempio dei 30 euro giornalieri che vengono dai ai migranti e che sono criticati da tutti «Sai dove vanno quei soldi?» dice don Giovanni ad uno dei suoi ragazzi collaboratori, arrabbiatissimo di tutti questi soldi dati agli immigrati «una parte li danno alla mensa alla quale mangiano a pranzo e a cena ed è gestita da italiani; un’altra quota la lasciano al centro accoglienza che li ospita, centro che viene gestito da italiani; alla fine della giornata, dei 30 euro che lo stato italiano riconosce ai migranti, ad essi restano solo 3 euro e 50 centesimi che si devono far bastare per tutto il resto». Incontrasi e confrontarsi è l’unico per modo per conoscere ed accogliere, non tollerare, la diversità. Seconda cosa da fare è conoscere il proprio territorio: rendersi conto di chi c’è, da quante comunità di migranti è costituito, quali sono i bisogni emergenti ma anche quante risorse si possiedono. Ed accenna all’ «accoglienza leggera» ovvero quella possibilità concessa qualche volta settimana alle persone immigrate di incontrarsi con la comunità locale (pomeriggio del the, partita) per permettere e per permetterci di conoscersi meglio.
Con uno sguardo retrospettivo del fenomeno concludiamo sottolineando come quello che si continua a chiamare “emergenza” è diventata ormai “ordinarietà” e come tale dobbiamo cominciare ad affrontarla.