«Hanno provato l’emozione di arrivare in una scuola (“superiore!”) e il sollievo di trovare un prof alla mano che parla con semplicità di motori o di impianti eccetera. Oppure la delusione e il motivato disappunto di arrivare fino a scuola e sapere che quel giorno la lezione non c’è. La paura di affrontare la prima delle prove, le battute di chi fa lo spaccone e quelle di chi è preoccupato. L’orgoglio di M., che nei primi quattro mesi dell’anno è riuscito a fare il programma intero e a passare all’anno successivo, così ha potuto riprendersi un po’ del tempo che circostanze varie gli avevano scippato. Y, che in autobus prende in giro un compagno [nigeriano lui, rumeno il compagno], parafrasando una frase appena letta a scuola di Boccaccio, e ridono, ridono in un’unica lingua. La dignità affaticata di chi ha superato il 4° e si prepara a consegnare quasi con incredulità questo risultato ai servizi sociali, al padre e anche a se stesso.»
Maria Rosaria Iarussi è stata testimone dei passi avanti nella vita che i ragazzi del Centro hanno potuto fare, grazie a un nuovo rapporto con la scuola. Ha insegnato Lettere e Storia nelle scuole superiori dal 1985 ed è appena andata in pensione. Nell’anno 1996/1997 ha iniziato ad insegnare all’IPSIA Cattaneo, l’istituto con cui il Centro diurno del Borgo Ragazzi Don Bosco collabora per la formazione scolastica dei propri ragazzi. Al Cattaneo si è occupata di alunni in difficoltà di vita, di alunni migranti e dal 2001 di educazione degli adulti e dei giovani adulti.
Come ha conosciuto il Borgo Ragazzi Don Bosco?
«Nel 2002 ho incontrato per la prima volta Alessandro Iannini, il responsabile del Centro Minori.
Alessandro si era rivolto al Dirigente Scolastico ed aveva illustrato le azioni per riavvicinare alla scuola ragazzi estromessi per vari motivi dai percorsi di istruzione, chiedendo se c’erano possibilità di collaborazione. Il preside mi aveva chiesto un parere, sapendo che nella succursale di Città dei Ragazzi, e in relazione al progetto Chance di Napoli/Maestri di strada, mi occupavo molto del diritto allo studio per tutti e della cosiddetta “seconda opportunità”.»
Nel primo incontro c’è stata subito un’ottima sintonia e sono state trovate alcune soluzioni operative: prima fra tutte la possibilità che i docenti di materie tecniche dell’Ipsia Cattaneo potessero certificare la preparazione che i ragazzi accolti dal Borgo acquisivano durante i tirocini o nelle lezioni al Centro. Oltre a ciò, fu individuata da subito la possibilità che i “ragazzi del Don Bosco” potessero frequentare alcuni corsi di esercitazioni pratiche presso il Cattaneo. L’obiettivo: che i ragazzi potessero “fare amicizia con la scuola”. In molti casi, anzi – Alessandro e io stessa lo sapevamo bene – si trattava piuttosto di “far pace”, cioè di superare ferite e oltraggi.
Le soluzioni concordate in quel primo incontro divennero, nel giro di un mese circa, un protocollo di intesa, che ha spinto le due strutture a coinvolgere operatori e docenti in questa attività didattica inconsueta, e ha permesso a un numero consistente di ragazzi, anno per anno, di frequentare i laboratori e sostenere le prove per la certificazione.
Da allora il protocollo è stato rinnovato ogni anno e si è arricchito di alcune articolazioni. Circa 15/20 docenti del Cattaneo hanno partecipato alle attività di verifica finale o di formazione. Naturalmente ci sono stati spesso errori e difficoltà nell’affrontare un lavoro “di tipo nuovo”, ma si è trattato per tutti di un’attività ricca di senso.»
Che rapporti ha con il Borgo Ragazzi Don Bosco?
«Un rapporto di collaborazione, fondato fortemente sulla condivisione dell’obiettivo [= dare opportunità di buon inserimento sociale a ragazzi in difficoltà e garantire il diritto alla formazione/istruzione], e sull’apprezzamento del modo di procedere. Potrei dire anche un “rapporto di complicità”, forse “alleanza” suona meglio, perché per raggiungere gli obiettivi fissati c’è bisogno di essere molto vicini ai ragazzi e spesso si è costretti ad andare contromano, rispetto ai modi e ai criteri correnti.
Non si è trattato di un rapporto solo professionale, ma piuttosto di un ricco fascio di relazioni. Quando ho potuto – in modo in realtà molto limitato – ho partecipato ad altre attività del centro: la festa di fine anno, le cene sociali… e si è sempre trattato per me di momenti positivi, interessanti e anche istruttivi.»
Perché all’istituto “Cattaneo” – o alla scuola più in generale – collaborare con il Borgo Ragazzi Don Bosco fa bene?
Perché la scuola da sola non riesce a dedicare tempo attenzioni e insegnamenti individualizzati, indispensabili per ragazzi in difficoltà. Inoltre può trovare negli operatori del Borgo dei validi alleati per “raggiungere” e coinvolgere proprio quei ragazzi che della scuola hanno più bisogno ma che, per un paradosso tragico e molto frequente, nella scuola non ci stanno neppure. Infine, può apprendere al Borgo metodi di didattica e di accoglienza efficaci perché concreti e sinceramente incentrati sui ragazzi.»
Perché secondo lei è importante che una realtà come quella del Borgo Ragazzi Don Bosco esista sul territorio?
«Perché il reinserimento dei ragazzi – in modo sano – nella vita sociale necessità di una rete solida e concreta, che deve comprendere luoghi produttivi, luoghi di svago, luoghi di formazione. Una rete del genere può offrire opportunità efficaci ai giovani, se c’è conoscenza/controllo in modo reale e continuo, quindi è bene che sorga in un territorio circoscritto, non troppo dispersivo.»