65 anni di vita: il Borgo Ragazzi Don Bosco di Roma raccontato dai suoi ragazzi, durante un incontro alla sala del Carroccio, in Campidoglio, con la presenza di istituzioni e giornalisti.

di Rita Dal Canto

Mercoledì mattina, ore 11.  Campidoglio. Salgo con il fiatone la scalinata cercando disperatamente la Sala del Carroccio. Una folla di ragazzini urlanti e festosi mi travolge alla fine della salita: riconosco una bandiera del Borgo Don Bosco. Forse non sono così in ritardo. Ascolto un attimo. La guida del gruppo spiega nel dettaglio ai ragazzi l’importanza di visitare i musei. Sto per chiedere informazioni quando un ragazzino con le lentiggini mi tira il cappotto:
– Se ti interessa il Borgo e vuoi sentì roba forte, vai a sinistra su quelle scalette, che sta à parlà un amico mio. Io ti raggiungo dopo, prima il dovere e poi il piacere!
Accetto il consiglio e trovo la sala, dove ragazzi come loro, solo un po’ cresciuti, stanno parlando alle autorità. Questa è la loro storia.

Shari Ingrassia, 22 anni.   E’ una giovane volontaria, arrivata al Borgo in cerca di sostegno scolastico e per trovare una svolta alla sua vita. Ci è riuscita. «Sono stata bocciata a scuola un paio di volte, avevo bisogno di ripetizioni. Non facevo quello che dovevo fare a scuola e nella vita e questo senso di fallimento mi spinse ad andare al gruppo formativo del Borgo. Vedevo diversità tra me e gli altri. Io avevo compagnie di strada, gli amici con cui uscivo erano pieni di problemi con la giustizia. Al Borgo ho trovato persone che mi ascoltavano, cosa che non avevo mai trovato nella mia famiglia. Ho cercato un senso profondo per la mia vita. Da allora ho fatto molti progressi: adesso frequento l’università, studio per diventare educatrice. Ho scoperto capacità che non pensavo di avere, e riscoprire la bellezza di aiutare gli altri, di essere al loro servizio, mi ha dato possibilità di crescere molto e di far crescere a mia volta anche gli altri, facendo varie attività tra cui il servizio civile. Seguo il gruppo dei ragazzi delle medie, ho seguito quello delle elementari. Guardando attraverso i loro occhi,  ho capito che quello che facevo nella mia vita precedente era sbagliato.»

Luca Tedesco, Italia, 25 anni  È un giovanissimo insegnante della scuola professionale, dopo essere stato in passato uno studente della struttura.
«Ero un ragazzo inquieto a scuola. Non mi applicavo nello studio “a tavolino”. Avevo voglia di trovare un lavoro prima possibile. Ho deciso di andare al Borgo per frequentare un corso come operatore meccanico. Dopo il corso mi hanno fatto fare uno stage presso un’azienda. Nelle materie pratiche ero uno dei migliori, il Borgo mi ha aiutato ad avere fiducia in me. Mi hanno subito proposto di lavorare, ma ho continuato la scuola. Ho iniziato il quarto anno e ho proseguito anche il quinto, presso una scuola statale. Dopo, ho preso la decisione di fare il servizio civile con i ragazzi, per fargli capire una cosa semplice: il coraggio di dire che se ce l’avevo fatta io, ce la facevano pure loro. Dopo questo periodo ho ricevuto una proposta di insegnamento sempre al Borgo:  ho accettato subito e adesso insegno ai ragazzi del secondo e del terzo anno. Da alunno a professore in un baleno! Ringrazio sempre i salesiani per la possibilità che mi hanno dato. Tutto è iniziato li, ed ora avere una classe mia, portare i ragazzi da settembre fino a giugno mi rende realizzato! L’unica cosa che desidero per la mia vita è fare un lavoro per cui mi sveglio la mattina e sono felice di andarci. Quando incontro i miei ex professori delle medie e elementari, che sapevano che ero agitato e che probabilmente erano convinti che non avrei mai combinato niente nella mia vita, gli dico che siamo colleghi e rimangono stupiti. Ripenso alla mia esperienza in continuazione, anche quando insegno: recentemente nella mia classe ci sono stati due inserimenti nuovi, un ragazzo che ha perso il padre e uno che non sa cosa fare nella vita. Non me la sentivo di non prenderli, di fargli perdere anni e non dargli poi alcuna possibilità di lavorare, quindi faccio volentireri fatica, ma li tengo con me, non li lascio di sicuro in giro per strada!»

Rahat Zaman, Bangladesh   È la più giovane di quattro sorelle bengalesi che, catapultate in Italia dopo la morte della madre, si sono ritrovate sole. Grazie al Borgo hanno ritrovato un futuro.
«Sono arrivata in Italia all’ età di nove anni, per un ricongiungimento familiare con mio padre, già sposato con un’altra moglie e altri figli, nostri fratellastri. La signora non ci trattava affatto come figli. Mia sorella più grande, che all’epoca aveva quindici anni, ha chiamato l’assistente sociale che ci ha portato in casa famiglia al Borgo, ma non c’era posto per tutte: due di noi sono rimaste in casa famiglia, altre due sono rimaste con la famiglia di riferimento.  L’Italia era per noi un paese straniero: siamo cresciute da sole, ed è stato doloroso. Abbiamo chiesto se c’era una soluzione per vivere tutte insieme, ad esempio prendere un appartamento nostro, un tetto per noi, e il Borgo riuscì ad aiutarci: ha infatti creato un progetto di semiautonomia apposta per noi, perchè noi quattro sorelle potessimo essere di nuovo tutte riunite. Abbiamo così ricevuto negli anni più difficili un aiuto sia psicologico che materiale. Quando la nostra sorella più grande compì i 18 anni, si occupò lei della tutela dei più piccoli, sempre sostenuta dalle cure dei volontari. Ormai siamo tutte cresciute, ma ancora adesso abbiamo legami con le persone del Borgo Don Bosco, sono un riferimento importante per la nostra vita. Per me il Borgo è una casa dove si impara a crescere liberi:  lì ognuno trova le sue ali per volare lontano.»

Renato Cursi, Italia, 25 anni   Dopo la laurea, sta facendo un tirocinio con Medici Senza Frontiere. È stato allenatore di minibasket per la Polisportiva Borgo Don Bosco, ora anima un gruppo di adolescenti dell’oratorio ed è coordinatore nazionale del Movimento Giovanile Salesiano (MGS).
«Mi sono avvicinato al Borgo per lo sport. Per me il borgo è una palestra per la vita, ed anche un laboratorio di talenti. Offre opportunità di mettere a frutto le nostre doti in un grande laboratorio in cui ogni tanto si vince o si perde, ma in cui l’importante è crescere bene. Sono diventato allenatore nella Polisportiva Salesiana, sono un Alleducatore, un misto tra allenatore ed educatore. È stato un percorso lungo, di sei-otto anni, vissuto nella Polisportiva. Ho incontrato una realtà nazionale, quella dei salesiani, che ci fanno crescere. Sono stato anche scout e sono entrato nell’ MGS, dove il protagonismo giovanile è grande. Per riassumere la mia esperienza, cito il motto di Don Bosco: buoni cristiani, onesti cittadini. Vorrei che tanti ragazzi provassero la bellezza di mettersi al servizio degli altri. Da sempre mi interessano le relazioni internazionali, ed ho sviluppato questo aspetto nel servizio in oratorio con i giovani, che mi ha fatto venire ancora più interesse verso la tutela dei diritti umani. Non perdo occasione di fare rete, perché conoscendo altre persone, appunto, facendo rete, possiamo fare di più per i giovani.»

Alla guida del Borgo c’è una Comunità Salesiana, con alle spalle una storia importante che continua e trova nuove soluzioni nel tempo alle situazioni difficili. Obiettivo: creare un clima di comunione, di famiglia. Sarebbe bello riuscire ad esportare la cultura dei ragazzi che rimangono spesso invisibili: essi sono travolti dalla marginalità, emergono soltanto in occasione di loro disastri. Sono ragazzi che non portano voce, che hanno voce solo se gliela diamo noi. Il Borgo è nelle storie del territorio, dei ragazzi, di noi.

Testo tratto da: http://www.young4young.com/news.php?id=1592