Andrea nasce in Italia e vive con la mamma peruviana e il suo compagno presso la famiglia di lui. Ben presto sia la mamma che il compagno vanno via (la mamma torna in Perù); Andrea e il fratello maggiore restano nella nuova famiglia acquisita, fino a quando intervengono i servizi sociali, portando tutti e due i fratelli (Andrea frequentava allora le prime classi della scuola elementare) prima in una struttura a Viterbo, poi in un’altra a Roma. Ad un certo punto i due fratelli si dividono: il più grande, ormai diciottenne (più brillante, iscritto all’Università, più spigliato, ed anche fisicamente di bella presenza) diviene autonomo; mentre Andrea viene inviato nella Casa Famiglia del Borgo Ragazzi don Bosco. Quando arriva è completamente offuscato dalla figura del fratello, per cui insicuro, timido, parla poco, fa fatica a relazionarsi con gli altri, soprattutto con i ragazzi della Casa.
Si iscrive al Centro di Formazione Professionale nel corso di Elettricisti: all’inizio va molto bene, poi piano piano non regge la “popolarità” per cui tira i remi in barca, come per mantenere questo suo ruolo di comparsa e non di protagonista. Assume questo suo “essere non visto” ormai come un ruolo ben definito, per cui emergere diventa un obiettivo troppo alto, è una fatica troppo grossa! Consegue, in ogni caso, la qualifica di elettricista e durante l’estate si affianca ad un professionista, esperienza che lo fortifica, facendogli acquisire più sicurezza; sicurezza totalmente distrutta dall’esperienza lavorativa successiva durata un anno; in realtà, l’azienda prende a cuore il ragazzo, ma forse perché non è il lavoro adatto a lui, forse perché non sanno cogliere le sue esigenze e i suoi tempi, Andrea ne esce molto stanco e demotivato.
Una volta compiuti i 18 anni, lascia la casa famiglia: è stato in una camera in affitto fino a poco tempo fa; adesso è in una struttura di semiautonomia, sovvenzionata da Roma Capitale. Questo rassicura tutti, compresi noi educatori, perché in questa fase delicata, anche se Andrea non riesce a trovare subito un lavoro, la Casa Famiglia del Borgo ha a disposizione dei fondi che possono essere investiti in una borsa lavoro o su una nuova progettualità lavorativa. Logicamente non parliamo di fondi pubblici, ma di donazioni di tutti coloro che hanno preso a cuore i ragazzi del Borgo.
L’uscita dalla Casa Famiglia è stata per Andrea un momento particolare, come, del resto, per tutti i ragazzi che compiono 18 anni; ma lo ha vissuto in modo opposto a come lo vivono tutti gli altri, ovvero ogni ragazzo che affronta la semiautonomia tende a vivere questa uscita di casa in modo conflittuale: gli ultimi mesi di permanenza in casa diventano un momento per cercare di distruggere tutto ciò che hanno costruito, perché si sentono “traditi” dalla struttura che prima li accoglie e poi li manda via. Andrea ha chiesto, invece, di restare oltre i 18 anni perché lui qui sta bene e non ha mai pensato al “dopo”.
Il percorso con Andrea è lungo, lento e complicato. Infatti, persiste in lui continuamente un profondo senso di abbandono che giorno dopo giorno bisogna sconfiggere, aumentando la sua autostima e la sua positiva percezione di sé. Per queste difficoltà, il passaggio dalla Casa Famiglia alla Semiautonomia si sarebbe rivelato come un problema molto serio, se non ci fossero state persone presenti nella sua vita in modo costante. Per un ragazzo come lui non c’è solo la difficoltà “sociale” di trovare lavoro o di avere una casa, ma una difficoltà relazionale per cui ha bisogno continuamente di persone che credono in lui, infondendo fiducia, ma soprattutto che lo motivino e lo rimotivino ogni giorno, per dare senso ad ogni suo piccolo gesto.
Ora che è uscito dalla casa famiglia, noi educatori stiamo pensando a lui in modo diverso: come è possibile aiutarlo per affermarsi nella società e nel mondo del lavoro, valorizzando le sue risorse e cercando di capire qual è la strada migliore da intraprendere. Sicuramente, c’è l’idea di creare in lui una nuova professionalità, perché ci siamo resi conto che il lavoro di elettricista proprio non lo valorizza. Pensiamo quindi di orientarlo su un altro tipo di lavoro. Per fare questo Andrea ha bisogno di una patente, di un’altra qualifica e, soprattutto, del tempo per cercare veramente un lavoro “adatto” a lui, senza doversi accontentare del primo che trova. Questo non per superbia, ma per non fargli ripetere esperienze lavorative negative che lo frustino ancora di più di come si sente. Questo percorso deve portarlo ad acquisire più sicurezza che lo supporti non solo nel lavoro, ma anche nel processo di autonomia. Perché
l’autonomia non è una questione materiale, e non può essere solo quello. I progetti di semiautonomia che falliscono sono proprio quelli pensati solo sul fare: la semiautonomia non funziona solo perché c’è un lavoro o una casa; funziona, invece, se al centro del progetto c’è la persona, la sua cura, i suoi obiettivi personali; la casa e il lavoro divengono strumenti per acquisire sicurezza e autonomia e per raggiungere una crescita sana, integrale e autonoma. Per ogni ragazzo che esce dalla casa famiglia, bisogna ripensare il progetto nel caso in cui la circostanze lo richiedano. Nel caso di Andrea, è necessario investire su una sua riqualificazione professionale. E’ necessario avere il tempo per ri-orientarlo e sostenerlo, tempo che manca invece nei percorsi di semiautonomia, dove ogni scelta è una continua corsa contro il tempo perché entro un anno e mezzo devi aver “sistemato” un diciottenne in una società come la nostra! Nel suo caso, sapere che l’alloggio e le utenze sono sostenute dal Comune, ci permette di lavorare su tutto il resto. Se fosse un ragazzo che esce dalla scuola con grandi meriti personali, che ha già contatti aziendali per un lavoro, il problema sarebbe solo l’abitazione. In questo caso va ricostruita ogni dimensione della sua persona e della sua vita. Tra l’altro, tutto è reso più faticoso dal fatto che Andrea è assolutamente cosciente dei propri limiti per cui pensa sempre che in lui c’è “qualcosa che non va”. Non solo, non è in grado di valutare cosa è meglio per sé o cosa gli piace fare: non è abituato a scendere in profondità. Quindi non riesce a cogliere il nocciolo del problema, a starci dentro se non in modo superficiale.
In questa storia, dove sembra sempre che non si raggiunga mai l’obiettivo, un’esperienza bella di Andrea è quella che sta vivendo con una famiglia di riferimento. Andrea con questa famiglia si è aperto molto, raccontando tutta la propria situazione affettiva rispetto alla mamma, raccontando di come lui la sera va a dormire il più tardi possibile perché aspetto un messaggio di lei su facebook; di come spera che prima o poi la mamma venga a riprenderselo.
L’esperienza con questa famiglia, ci fa sperare che per questo ragazzo può “esserci di più” di quello che ha. Mai pensavo che questa nuova relazione familiare potesse andare a buon fine. Da quando frequenta queste persone vedo nei suoi occhi una luce che non avevo mai visto prima!