È notte fonda quando il nostro aereo atterra all’aeroporto internazionale de Il Cairo, la più grande megalopoli africana con i suoi stimati venti milioni di abitanti. I tre giovani missionari della Circoscrizione Salesiana dell’Italia Centrale (ICC) e don Michelangelo Dessì, animatore missionario, si ritrovano immediatamente avvolti dal traffico caotico della città, immersi nelle sue contraddizioni visibili ad occhio nudo, fra vialoni illuminati con lussuosi alberghi e palazzi governativi e le strade della città, quella che si vive ogni giorno, sporche, caotiche, cumuli di immondizia ovunque. «Siamo qui in Egitto per ascoltare e osservare, per conoscere, in vista di un progetto di sostegno all’ispettoria del Medio Oriente, articolato e coerente, in risposta all’appello del Rettor Maggiore e don Stefano Martoglio, Consigliere della Regione Mediterranea». I contatti fra l’ICC e il MOR (in particolare con l’ispettore don Mounir) sono iniziati nel mese di novembre dell’anno scorso e hanno dato vita a questa “mini esperienza missionaria” di primo studio e di approfondimento.
Ospiti della comunità salesiana de Il Cairo – Zeitun, abbiamo goduto della squisita accoglienza del direttore don Dany Kerio, dei confratelli e di tutti i giovani egiziani e sud-sudanesi che abitano questa vivace casa, immersa in un quartiere il cui nome significa “Giardino degli Ulivi”, che chissà quanto tempo fa hanno lasciato il posto ad un immenso e caotico intreccio di vie, alti palazzi, molto poveri, un immenso mercato a cielo aperto.
Qui i salesiani, presenti dal 1984, hanno una parrocchia (ereditata dai Padri Bianchi) e un oratorio a servizio dei giovani egiziani, “figli dei portinai”, di famiglie povere che non possono prendersi cura dei propri figli e della comunità dei profughi sud-sudanesi, che abbandonano la propria patria, perseguitati in quanto cristiani. Il nostro “ascolto” si fa attento nel cogliere l’alternarsi di attenzione educativa della comunità salesiana fra giovani egiziani e sud-sudanesi, la povertà delle famiglie, le difficoltà di integrazione, le speranze dei profughi sud-sudanesi infrante in questo mare di cemento e mattoni, le speranze degli egiziani zittite dalla povertà nella quale vivono, pur con grande dignità. L’ascolto diventa “visivo” quando diventa passeggiata per le vie del quartiere, sollecitato da continui clacson che dicono “ci sono”, che si mischiano al vociare della gente in strada, alle sirene gracchianti di mezzi di soccorso e agli altoparlanti dei minareti vicini che recitano versetti del Corano o invitano alla preghiera; in mezzo a questo mercato a cielo aperto, fatto di montagne di angurie disposte a “piramide” perfettamente in equilibrio, di ortaggi, patate, reti appese piene di mango gialli e verdi; fatto di tessuti variopinti, di vasetti di non meglio precisate spezie; fatto di quarti di buoi o di agnelli che penzolano per strada in attesa di acquirenti, gabbie di galline vive, tacchini che deambulano fra i marciapiedi e le piastrelle bianche del bancone del macellaio che spera di poterli presto vendere; fatto di tanti bimbi sporchi, ma sorridenti che corrono alternando il gioco spensierato a lavoretti e piccole commissioni che potranno rendere alcune lire, una caramella o un gelato; fatto di cumuli di immondizia e di tanta sporcizia; fatto di pozze di acqua e sangue che escono dalle macellerie; fatto di scantinati bui e anonimi, garage dove vivono intere famiglie che si stanno preparando in pranzo sul fuoco di un grosso barile; fatto di giovani che vestono all’occidentale, volti di ragazze che spuntano dai veli islamici, occhi misteriosi e bellissimi di giovani donne completamente avvolte in tessuti neri ebano; fatto di rosari di legno che cingono il collo dei cristiani, lontani certo dalle mode rap occidentali, ma portati con la consapevolezza che dice la propria identità, insieme alle croci tatuate sui polsi, o sul dorso della mano, o al volto del Signore Gesù tatuato sul braccio…
Dopo il caos della strada in cui vivono tutto il giorno i bambini e i ragazzi, quel rettangolo 20 x 40 del cortile dell’oratorio appare davvero un paradiso! Un paradiso che è realmente casa che accoglie, a differenza dell’anonimato della strada o degli altri ambienti abitati dai giovani durante il resto della settimana; è davvero la parrocchia di chi non a parrocchia, dei profughi sud-sudanesi, quasi tutti cattolici di rito latino, che sono disprezzati ed emarginati dagli egiziani (anche se apprezzati per il loro lavoro come domestici), e anche dei giovani egiziani, per la maggior parte ortodossi copti, che non sono seguiti e non frequentano le loro chiese di appartenenza; è scuola che avvia alla vita, con i suoi percorsi educativi, di attenzione ai più piccoli, con i corsi di recupero, di danza, di italiano, di inglese; è cortile per incontrarsi da amici ed imparare ad affrontare in modo diverso le differenze e le tensioni che si respirano al di là del muro di cinta. L’oratorio è aperto dalle 17,00 alle 23,30 e a giorni alterni ospita ora gli egiziani ora i sud-sudanesi, innanzitutto per motivi di spazio, ma anche perché l’integrazione fra questi due gruppi etnici è un lavoro ancora in corso, che si realizza, a mo’ di miracolo, durante l’Estate Ragazzi e i campeggi estivi.
Nella nostra attività di ascolto e di conoscenza abbiamo anche visitato la vicina casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice e la scuola salesiana di Rod El Farag. Dal dialogo con queste tre realtà presto prenderanno vita dei progetti di animazione missionaria più concreti, che possano aiutare i nostri ragazzi occidentali a fare esperienza di Dio, a toccare con mano le povertà del mondo, a sostenere concretamente le attività di queste case salesiane, piccole oasi in questo deserto di cemento, alveare umano di contraddizioni e speranze.