Sabato 5 Novembre si è svolto il secondo incontro della Scuola di Mondialità per i giovani del Lazio e dell’Umbria.

di Silvia Lancerotto

“Mio padre era un arameo errante”: così, don Michelangelo Dessì, responsabile dell’Animazione Missionaria dell’Ispettoria Circoscrizione Italia Centrale, ha avviato una riflessione ed un approfondimento sulla tematica delle migrazioni all’interno della Bibbia, durante il secondo incontro della Scuola di Mondialità.

È stato un viaggio virtuale, dove ogni partecipante si è chiesto (e ha scoperto) da dove veniamo, da dove venga il nostro DNA sociale: ognuno di noi, essere umano nato in questa realtà terrena, ha molto in comune l’uno con l’altro più di quello che si pensa.

La Sacra Scrittura parla dell’aspetto migratorio. Nel libro del Deuteronomio, è riportata la frase mio padre era un arameo errante (Dt. 26,5) e questo, evidenzia immediatamente l’essere errante, vagabondo, il non sapere dove si sta andando. Nella Scrittura non troveremo mai il concetto di migrazione vero e proprio, perché è un concetto astratto (non esistono concetti astratti nella cultura ebraica, ad esempio non si parla della bontà di Dio, ma si dice: “Dio è buono”), quindi si parla di Ger, ossia di migrato, di persona che non gode degli stessi diritti della persona autoctona, se non il condividerne fisicamente gli stessi spazi, di persona che è senza legami con il popolo locale e non è uguale alla condizione dello straniero; nei termini odierni è dunque proprio “l’immigrato”.

Perché il migrato abita a casa tua?
In tutto questo, la Bibbia mentre ci racconta, ha premura di dirci e di chiederci perché il Ger abita in casa tua? Ma chi glielo fa fare di trasferirsi visto che non ha nessun diritto?  La domanda ancora più profonda è: perché questo straniero lascia la sua terra di origine e va a vivere in un’altra e diventa un Ger ?

Le ragioni per cui uno straniero assume la condizione di Ger, sono diverse, come la carestia, la guerra, la persecuzione (si pensi magari a Mosè fuggiasco dall’Egitto, o Gesù appena nato che deve fuggire da Erode).

Le Scritture, aiutano a vedere la profonda consapevolezza di Israele nell’essere un popolo di migranti: l’esperienza della migrazione tocca Israele sia come singolo sia come popolo e queste esperienze lasciano un segno vivo nella sua coscienza, diventano parte del suo patrimonio genetico-spirituale.

L’esperienza di Israele
È evidente la presenza di un Dio che si fa carico della situazione di migrazione del suo popolo, ed Israele fa esperienza proprio di questo: Dio ascolta, Dio si ricorda della sua alleanza con Abramo, Dio guarda questa condizione di Ger, Dio se ne dà pensiero e se ne fa carico; per questo, quanto interverviene, libera e salva. Israele fa dunque continua esperienza di un Dio liberatore, e il ricordare che mio padre era un arameo errante, aiuta a dire “ho provato tutto, so cosa vuol dire essere migrante, so cosa vuol dire raccogliere i frutti della terra.” La conseguenza diretta nell’essere coscienti di questo è che quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Tu l’amerai come te stesso (Lv 19, 32 -34), ossia tu nella tua vita hai provato cosa significhi essere maltrattato, essere alla mercé di tutti, ecco fa quindi in modo che questo non accada, anzi, ama il Ger  come te stesso, ricordati che sei stato tu, prima di tutto, schiavo nella terra d’Egitto.

Israele è chiamato a ricordarsi non solo di essere stato immigrato ma anche di aver ricevuto da Dio il dono della terra per abitarla da inquilino, non da proprietario, perché l’unico vero proprietario è JHWH.

Ecco quindi che la Scrittura ci dà una visione ampia e complessa del fenomeno migratorio, indicandoci quanto questo aspetto sia insito nella vita dell’uomo da sempre, evidenziando quanto ancora la Scrittura dopo millenni, sia attuale. Questo conduce l’uomo a pensare che anche se le motivazioni sono le più disperate, è una realtà che può capitare a tutti, ma per quanto brutta, questa condizione, non è cosi disperata se dentro ad ognuno di noi rimangono salde due consapevolezze:

– nel mio DNA c’è il mio essere migrante, quindi è scritto dentro di me, di amare e rispettare il “forestiero”;

– vivere il nostro quotidiano con un cuore da migrante, un cuore che non si considera proprietario della terra che abita (questo se così fosse diventerebbe la morte). Un cuore migrante non si sente di essere mai “a posto”, ma è sempre alla ricerca di un “di meglio”, di un “di più” (in questo anche papa Francesco ci esorta nel non vivere una vita in poltrona!).

E questo lascia davvero spazio a speranza e fiducia.
PROSSIMO APPUNTAMENTO:
SABATO 19 NOVEMBRE ore 16.00 nella casa salesiana del Pio XI, via Umbertide 11 – Roma

PER INFORMAZIONI:
Marco Fulgaro 3661354944  marco.fulgaro@outlook.com
don Emanuele De Maria 3318117194
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